Basta un po' di silenzio 
di Claudio Remondi e Riccardo Caporossi – ispirato al racconto “Assez” di Samuel Beckett

Assistente collaboratore: Vincenzo Preziosa. 
Con:  Carmen Albanese, Silvia Angioni, Andrea Cardinali, Elena D'Angelo, Alessia D'Anna, Paola Di Mitri, Vladimir Doda, Giulia Lanciotti,  Laura Mancini, Minczewa Barbara, Occhionero Vincenzo, Sprecacenere Lorenzo, Tagliaferro Simon, Toia Agustina.

           

La critica stampa
 

“Autobiografia del silenzio

La miglior ricerca teatrale italiana nel nuovo spettacolo di Rem e Cap, ispirato a Basta di Beckett

Sensazione opposta a quella espressa da Celia di fronte a Murphy: “Inzaccherata di parole, che appena pronunciate cadevano in polvere”. Sempre silenzio nella messinscena di Remondi e Caporossi ispirata a una novella di Samuel Beckett, il loro amato Beckett, Assez, Basta, offerta al teatro Eduardo De Filippo di Roma. Si legge nell’originale beckettiano: «Dovevo avere sui sei anni quando mi prese per mano. Uscivo appena dall’infanzia. Ma non tardai a uscirne del tutto. Era la mano sinistra. Stare a destra gli era insopportabile. Andavamo avanti insieme con la mano nella mano. Un paio di guanti ci bastava. Le mani libere o esterne pendevano nude». Allora Rem e Cap mostrano sette coppie beckettiane - giacca, pantaloni e cappello scuri da uomo, scarpe grosse - che camminano da destra a sinistra, senza sosta, una dopo l’altra, su un tappeto di sabbia lungo una ventina di metri. «Benché fosse già molto curvo - prosegue la novella - mi dava l’idea di un gigante. Finì col tenere il torso orizzontale. Per equilibrare questa anomalia divaricava le gambe e piegava i ginocchi. I piedi sempre più piatti erano rivolti verso l’esterno. Il suo orizzonte era limitato al suolo che calpestava. Mi dava la mano come una grande scimmia stanca tenendo il gomito sollevato al massimo. Bastava che mi raddrizzassi e lo superavo di tre teste e mezza. Un giorno si fermò e mi spiegò cercando le parole che l’anatomia è un tutto». Bravissimi i ragazzi del laboratorio che ha generato l’allestimento: uno dritto e l’altro piegato fin quasi a sfiorare il suolo con la testa, come se fossero un solo corpo, una sola macchina deambulatoria, costituita da più parti disposte quasi a croce. Da questo punto di partenza, Rem e Cap offrono tutta una serie di variazioni della camminata, del ritmo, della relazione fra gli individui e fra le coppie. Fino alla scena delle pecorelle con tutti gli attori chini a brucare e il pastore eretto. Solo in apparenza scena biblica, ed invece per la sua dinamica ricorda Gurdjieff, soprattutto se messa in relazione con il tema della solitudine come condizione drammatica dell’uomo: colui che sul cammino resta solo diventa una preda di certi spiritelli vestiti di bianco che gli saltano addosso e lo spogliano. Nel silenzio.

La ricerca di Rem e Cap è, come in Beckett, indagine sul senso del silenzio e delle parole, anelito alla sottrazione (teatrale, formale, linguistica), domanda metafisica sulla questione dell’identità e sul significato dell’affermazione “Io sono”. In Aspettando Godot, i due barboni Vladimiro ed Estragone, tipica coppia beckettiana, sono formalmente identici ma alla sostanza diversissimi. Lucky e Pozzo, l’altra coppia del dramma, lavorano al contrario: formalmente diversissimi, le loro opposte condizioni di vittima e carnefice li rendono in effetti un tutt’uno. Rem e Cap non intendono propriamente mettere in scena Assez, usano il testo come una formula per stare dentro Beckett e ne tirano fuori immagini su immagini, studi e variazioni sull’uomo dritto e il compagno piegato, sui principi di identità e alterità. Gli stessi Rem e Cap sono una coppia beckettiana e nessuno da una platea saprebbe indicare dove incomincia l’uno e dove finisce l’altro nella composizione di una messinscena. Uguali e diversi, offrono incarnato e teatralizzato il problema filosofico del sé, dell’altro e del mutuo riconoscimento. La loro poesia è tutta qui, nel disdegno di indicare il confine fra realtà e rappresentazione, nell’annullamento della distanza fra la vita e l’arte, nella certezza che il cogito, ergo sum è già, almeno linguisticamente, una separazione, è già una proposizione intellettuale e non artistica. La differenza fra chi pensa senza vedere e chi invece vede senza bisogno di pensare sta nel dono di un’immediata, ininterpretabile, inconfutabile, apparizione del mondo.”

Marcantonio Lucidi / LEFT – Aprile 2008



 

“Un momento dimostrativo di un metodo di lavoro che partendo da una idea sviluppa una scrittura per immagini ed una drammaturgia direttamente sulla scena. Lo spunto di partenza suscitato dal breve racconto di Beckett, è stato oggetto di elaborazione con tutti i partecipanti e ha determinato le tracce di un percorso la cui forma teatrale non necessariamente è demandata alla parola privilegiando maggiormente l'azione, il non- detto, il silenzio.

È la presenza della persona che dà verità all'azione; una verità che si nasconde nel comportamento e si rivela nell'agire della persona, nel silenzio di un'azione. È un procedimento che tende ad asciugare, selezionare la parola, la gestualità in eccesso per lasciare il corpo, con tutte le sue funzioni (soprattutto quella di ascoltare) nel suo stato di bersaglio: alla vita che ci circonda alla presenza degli altri, agli oggetti che manipoliamo, agli sguardi per ricevere stimoli, emozioni, incertezza, dubbi, stupore lasciandoci trasportare in ambiti misteriosi, imprevedibili. La presenza dell'oggetto, al di là della materia che lo compone, è argomento unico in quanto anche esso è metafora, sottoposto ai sensi ma denso di implicazioni, rivelatore dei possibili discorsi, delle possibili narrazioni.”

Corriere del web.it - Aprile 2008


“Un tratto di venti metri coperto di sabbia, quasi un deserto o una spiaggia abbandonata. Su questa distesa sfilano una serie di coppie, i cui componenti, maschi o femmine che siano, indossano tutti giacca, pantaloni, e cappello da uomo, tra il grigio ed il nero, e scarponi pesanti. Non hanno identità personale e non c’è nulla che distingue una coppia dall’altra. Né ci sono distinzioni all’interno delle singole coppie, se non delle posture dall’uno e dall’altro assunte. Ogni coppia comprende infatti un eretto e un piegato. La novella Assez di Samuel Beckett ha fornito lo spunto originario (la coppia dell’eretto e del piegato) e l’elaborazione di cui è stata oggetto si attiene con rispetto e sensibilità al modo dello scrittore irlandese e delle sue implicazioni. Questa situazione immutabile si moltiplica. Una processione di corpi. Un continuo movimento. Sembra un giro vizioso per comporre una catena che blocca e imprigiona l’immutabile condizione; come il camminare in un tetro perimetro, durante l’ora di sole, di una squadra di carcerati. Per il pubblico la visione di un solo lato. Una visione immutabile. Da destra verso sinistra. La quiete sui solitari passaggi. Brevi interruzioni per brevi comunicazioni. Immutabili e mute mutazioni. Uno si sostituisce all’altro. Si lasciano cadere a terra. Dormono. Due corpi. Un corpo solo. Breve attimo di riposo o attesa interminabile. Sogno tormentato dal passaggio di una scura massa informe. Si rialzano. Ripartono. L’eretto passa ad essere compagno del curvo che lo precede o di quello che lo segue. Oppure il curvo, abbandonato il proprio compagno, guadagna il nuovo che sopraggiunge o quello che sta per raggiungere. Avvolge tutto il silenzio, quello che si chiede.” 

Guido Laudani. Agoramagazine.it - Marzo 2008